C’E’ UN SOLO TRICOLORE (contenuto: apertura Anno giudiziario)
La recente riproposizione del cerimoniale legato all’apertura dell’Anno Giudiziario induce riflessioni particolari, andandosi a riproporre in termini accesi e certamente delicati la contrapposizione fra il mondo giudiziario e quello politico.
All’ordine del giorno non abbiamo avuto le inadeguatezze, i ritardi, le burocrazie e disfunzioni legate all’incedere del processo telematico; non abbiamo sentito parlare di repressione senza speranza e senza progetto e di cento morti nelle carceri in un solo anno.
Questa volta siamo giunti al palese scontro frontale fra i poteri dello Stato sicchè è davvero giunto il momento di domandarsi lealmente e con schiettezza in che cosa vogliamo ancora credere e se davvero esistano due tricolori, quello che sventola sui palazzi della politica o quello delle coccarde appuntate sulla toga dei magistrati.
Certamente, in prima battuta, avviliti da questa riproposizione di antichi dissapori, evidentemente irrisolti, ci sarebbe da pensare di perdere la speranza e gettare la spugna: viene voglia di dedicarsi ad altro, di trovare la forza di riconvertirsi ed abbandonare una nave che sta affondando perché, se chi fa le leggi e chi le va applicando sono nemici fra loro, platealmente, a farne le spese sono comunque i cittadini, in un modo o nell’altro.
Eppure, come si fa a lasciare che il portato di una millenaria civiltà, dello sforzo di scienza e cultura, di passione e sacrificio, di sangue e di morte sia travolto e cancellato da queste insopportabili contrapposizioni ?
Sarebbe saggezza o viltà rinunziare all’idea di una riconquistata Giustizia che si eserciti in un Paese dove le Istituzioni dialogano e non si scontrano ?
La nostra indole, ahimè, ci obbliga a propendere per la seconda ipotesi ed allora capiamo che siamo costretti a stare nel nostro mondo, testimoni e cantori di un sogno in una realtà di rovine; dobbiamo farlo e sappiamo dentro di noi che non abbiamo altra scelta, ci sarebbe impedita dal nostro modo di essere.
Ma posto che dobbiamo restare, si ripropone quella domanda, ineludibile: in che cosa vogliamo e dobbiamo credere?
Forse in una Giustizia fieramente indipendente quanto immune da quelle contaminazioni politiche che appena pochi anni fa hanno posto alla berlina l’intero sistema dei palazzi del Diritto; perché prima di scontrarsi all’esterno con la politica, è all’interno che si devono fare i conti con le logiche che quella politica ha introdotto.
Il modello di magistrato in cui crediamo è quello imparziale quanto indipendente, equilibrato, preparato ed efficiente che sa dare una risposta adeguata in tempi ragionevoli alla domanda di giustizia, senza comprimere le garanzie dei cittadini; un magistrato non carrierista, che non insegue funzioni “superiori” venendo a patti con logiche di schieramento, ma che ricerca l’acquisizione di una professionalità piena, nella consapevolezza della sacralità della sua funzione e della sua essenzialità al fine dell’esercizio autonomo e responsabile dell’attività giudiziaria.
L’ordinamento giudiziario deve servire a questo, a fornire gli strumenti (di organizzazione – di formazione – di percorso di carriera – di valutazioni – di norme deontologiche), per elevare al massimo la qualità dei magistrati, nel contesto di un sistema di autonomia e di ritrovato equilibrio tra i poteri dello Stato il cui scontro frontale, al quale assistiamo in questo frangente, è quanto di peggio si possa immaginare per chi, come noi Avvocati, è chiamato a difendere le persone.
Ed, allora, l’Avvocatura deve svolgere un importante ruolo di mediazione, per la sua posizione di portatrice degli interessi dei cittadini e di interlocutrice quotidiana dei magistrati, ma anche di ispiratrice di pensieri costruttivi verso la politica, nati dall’esperienza sul campo che consente di capire quali riforme, ordinarie od “epocali” che le si vogliano qualificare, possano davvero portare qualche risultato.
L’Avvocato, il Difensore è l’elemento insopprimibile nel meccanismo Giustizia, il solo tutore ontologico dei singoli e delle loro libertà a fronte delle prerogative statuali e delle loro possibili arroganze, da qualunque parte vengano; ed allora si deve essere uomini indipendenti, pronti a scontrarsi con l’Apparato, senza distinzioni di Palazzo, sia quando si agita ed attacca, sia quando se ne sta placido e serafico (ciò che accade drammaticamente sempre più spesso) di fronte ai problemi quotidiani dei cittadini; Uomini indipendenti, fieri di esserlo a costo di rinunzie e sacrifici, irridenti rispetto alle lusinghe di tutti i Potenti di quest’era mondialista a matrice economica che è lo scenario nel quale si agitano le vite nostre e quelle di coloro che dobbiamo difendere.
Di fronte al quadro desolante del presente, nel quale non si odono voci costruttive e franche, ma solo di sterile contrapposizione che può apparire finanche di maniera, per parte nostra e nei limiti del concreto vogliamo proporci come catalizzatori, capaci di analizzare le logiche del conflitto istituzionale in maniera trasparente e laica, senza schieramenti di simpatia, ponendoci così quali interlocutori necessari delle forze in contesa, essendo propositivi su basi serie e consapevoli, invitando quelle forze al confronto sui temi reali, con pacatezza ma estrema fermezza, senza inaridirci nella sterile logica dello scontro fine a se stesso.
Sicchè, dopo aver registrato il lamento della magistratura in occasione dell’apertura dell’Anno Giudiziario, sentitasi accerchiata dagli altri poteri statuali, capiamo che non è più il tempo di restare spettatori di questo sconfortante confronto senza costrutto ma di recare il nostro contributo, in ogni forma consentita e sulla scorta di idee e non di ideologia, al suo superamento: essere avvocati ci impone anche questo.
E ce lo impone la convinzione che di Tricolore ne deve esistere uno solo.
Avv. Gabriele Bordoni
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