AVEVO UN SOGNO ED ANCORA DESIDERO CHE NON SVANISCA (contenuto: ideali dell’adolescenza, Professione del penalista, deterioramento sociale)
Da giovane, irrequieto ed idealista, guardavo il mondo con curiosità ma anche con istintivo spirito critico verso quello che non mi andava a genio; era il mondo degli adulti, di quelli che determinavano il modo di essere della società, prima ancora che governarla ed imporre regole formali
Il cuore di adolescente e, poi, di ventenne mi diceva che si doveva e si poteva cambiare quello che non andava bene ed il mio sogno mi vedeva proiettato nel tempo in un contesto più simile al modo di sentire che mi apparteneva, alla cui creazione volevo contribuire per la parte che mi competeva.
Mi dedicai allora per alcuni anni all’attività politica ma ne rimasi presto perplesso, avendomi dato occasione di conoscere persone di valore che mi sarebbero state amiche da allora ed ancora oggi, ma anche di vedere da vicino le regole di quell’ambiente, alle quali non riuscivo ad adattarmi e nemmeno lo volevo.
A quel momento, appena laureato, immaginai che dovesse essere la mia vita a rappresentare ed interpretare concretamente l’impegno verso un mutamento, nell’idea ingenua che se ognuno facesse del proprio meglio -riconoscendo con onestà quelli che sono i riferimenti comuni agli uomini- già si sarebbe sulla buona strada per rendere più vivibile ogni ambito collettivo, dal più ristretto al più dilatato.
Quel precetto l’ho così adattato alla Professione che andavo ad iniziare e che sarebbe divenuta di fatto il mio quotidiano, cercando di interpretarla -pur con tutti i limiti propri di ogni essere umano- nella maniera più rigorosa ed attenta, per contenere il più possibile errori e dimenticanze, nell’onesta convinzione di avere fatto sempre tutto quanto potessi; un impegno assorbente e totalizzante, tale da orientare la vita intera, cancellandone il versante privato e più intimamente personale.
Quanto fosse ineluttabile questo destino l’ho scoperto in seguito, leggendo le espressioni di alcuni Maestri della Professione: “giovane amico, non scegliere questa professione se non bruci di curiosità intellettuale; non sceglierla se al tuo talento non unirai un grande spirito di sacrificio; non sceglierla se non avvertirai con piacere che essa invaderà la tua vita e ti chiederà di dedicarle ogni energia perché, come dice un bel verso del Macbeth, il lavoro nel quale proviamo diletto è esso stesso rimedio alla fatica; non sceglierla se vorrai isolarti intellettualmente perché è il confronto che ti fa umile e quindi ti conserva giovane e vivo; lo insegnava una bellissima frase poco conosciuta del Foscolo va fra la gente per romperti le corna dell’orgoglio; non sceglierla se non vorrai mettere al bando le furberie e rispettare, e consigliare di rispettare le leggi, anche morali; non sceglierla se non vorrai prodigarti per gli altri perché gli avvocati bisogna che lavorino disperatamente, vogliano o non vogliano, fino all’ultimo respiro, per servire gli altri, per aprire la strada agli altri e arrivino alla morte senza aver potuto fare quel che li riguarda personalmente e che per tutta la vita hanno dovuto rimandare a domani”.
Questa è dunque la regola della Professione di penalista che, anche se minacciata di soffocamento dall’invasione crescente del tecnicismo e della tecnologia, non potrà mai perdere il suo profondo respiro umano, perché la vera anima dell’attività forense è la potente solidarietà umana a tutela dell’altrui interesse: l’aula giudiziaria è il campo del combattimento nel quale ci si trova a fianco dell’uomo che si difende, operando lealmente al cospetto della propria coscienza e senza alcun timore, nei limiti del giusto, trascendendo l’occasione contingente per attingere altri piani, in tal maniera contribuendo con la propria fatica alla difesa dei valori fondamentali della civiltà.
Si trattava di una scelta che portava ineluttabilmente in quella direzione: il circostante, anche del mio privato, lo avrei da allora perso progressivamente di vista, seguendone marginalmente il mutamento, convinto di incidervi comunque attraverso quell’esercizio di vita con indosso la toga nera.
Dopo trent’anni, tuttavia, devo rilevare l’effetto inverso, perché quel circostante si è insinuato nel mio mondo, sino a privarlo pressoché interamente di quella natura così particolare che lo contraddistingue -o, almeno, lo dovrebbe- recandogli un reale significato nel contesto della società: laddove si regola la libertà e la dignità degli uomini, l’ambiente e l’atteggiamento di chi interpreta i ruoli di scena devono essere necessariamente particolari, non contaminati e così preservati da quanto possa condizionarli. Ma questa prerogativa è stata in larga parte cancellata.
Il tenere in disparte quanto esulava dalla Professione -come era forse anche facile prevedere- non mi aveva lasciato cogliere per tempo le possibili derive comportamentali che, subdolamente e con quotidiana immanenza, hanno finito per stravolgere la società; così, se a vent’anni vedevo tanti aspetti che non mi piacevano e che avrei voluto cambiassero, ora vedo invece una complessiva desolazione, rispetto alla quale non è dato nemmeno individuare note particolarmente critiche, perché è proprio la mentalità corrente che è indecifrabile nella sua insensatezza.
Una mentalità che, alla fine, è entrata anche nel mio mondo, sconquassandolo.
Così mi ritrovo ad aver trascorso una vita in disparte, senza curarmi tanto di quanto accadesse attorno -pur di essere coerente con le regole che di quella vita mi erano state insegnate da chi le aveva applicate con rigore ed abnegazione- avendo però lasciato scorrere attorno a me il progressivo annientamento culturale e sociale, sino al punto di ritrovare invaso da quelle spore venefiche anche quello che considero il mio ambiente.
Lo stabilizzarsi progressivo di modelli errati ed aberranti, in una società dominata dalle logiche materialiste dell’effimero, in cui i cittadini non sono altro che consumatori dei quali è necessario sopire progressivamente il pensiero libero e critico, ha portato alla condizione deprimente di sfacelo generalizzato di cui, in fondo, un po’ tutti ci rendiamo conto, non soltanto chi ne sia indomito oppositore, ma anche chi vi ci sia in qualche modo adattato, volente o nolente.
Come me, altri vivono questa sensazione e, quando ci riconosciamo e ne ragioniamo, la malinconia si miscela alla rabbia per non essere riusciti a fare di meglio; pensavamo che, vivendo in aderenza ai nostri principi, saremmo stati capaci di dimostrare che era possibile restare se stessi ed incidere un po’ su quanto era intorno a noi, ma abbiamo dovuto ricrederci, perché l’avversario era incomparabilmente più forte, onnipresente e diuturno, irreversibilmente pandemico.
Ma non sono affatto pentito della mia scelta; je ne regrette rien, perchè non avrei potuto essere diversamente, tradendo me stesso, chi mi ha formato ed i Maestri illuminati vissuti prima di me.
E quel sogno giovanile voglio ancora che sia, nonostante tutto; e se anche dovessi amaramente smettere di coltivarlo, almeno sarebbe stato il mio -e non mio soltanto- sino a qui e tanto basterebbe.
Avv. Gabriele Bordoni
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