IMMAGINARE DOMANI, RIPENSANDO A IERI (contenuto: futuro, coscienza)
Pare che ci siano ancora alcune settimane per riflettere, prima che vita ritorni progressivamente a canalizzarsi, prima che le esigenze immediate di riassestarsi economicamente nel contesto preoccupante che si figura unita alla tendenza a rientrare nelle abitudini stabili ci vadano a sopraffare e ci ricaccino nel vortice del quotidiano.
Dovremo affrontare presto nuove dinamiche, rivedere certi nostri progetti, tornare a fare i conti con realtà e cogenze più immediate e basilari, lasciando magari da parte qualche sogno o qualche ambizione e dovremo anche verificare se la nostra mente, dopo una stasi improvvisa e anomala, così protratta e nel pieno dell’anno lavorativo, saprà riadattarsi ai ritmi frenetici, nevrotici ed alienanti ai quali eravamo da tanto tempo sottoposti ed assuefatti.
Ci si affannava, si incastravano tanti impegni, si andava veloci…automaticamente, senza darci tempo per pensare, per valutare appieno e profondamente l’intrinseco significato ed il valore di quanto andavamo facendo: era un ritmo forzato, certamente dinamico e necessario a far funzionare “la macchina” ma probabilmente anche privo in larga parte di un senso effettivo.
Poi, nel mondo dei frenetici immortali, è arrivato di colpo un protagonista silenzioso e subdolo, davanti al quale il mondo tecnocratico ed evoluto, quel mondo così veloce ed organizzato, si è rivelato di una fragilità e di una inconsistenza singolari: nessun approccio equilibrato, nessun ricorso immediato al sapere scientifico ed esperienziale e nessuna risposta univoca e frutto di consapevolezza; nemmeno la curiosità di approfondire il più possibile quanto stava accadendo in Oriente, forse immaginando che sarebbe stata una “cosa loro” rispetto alla quale non era nemmeno il caso di manifestare tanto interesse in prospettiva, intanto ne saremmo rimasti immuni, vivendola soltanto come spettatori lontani.
Miopia, superficialità, arroganza e logiche minimali di una politica completamente priva di contenuti hanno avuto in quella fase il sopravvento e si sono perse così almeno un paio di settimane decisive che hanno segnato l’andamento dell’epidemia, consegnando il Paese alla cautela domestica generale per almeno due mesi; e negli altri Stati occidentali, quelli che mandano i loro rappresentanti ai convegni dei Grandi del pianeta, le cose non sono andate diversamente, facendo sì che, una volta tanto, la nostra mediocrità quasi brillasse e meritasse plauso ed emulazione.
Sì, si parla di modello italiano; un modello di cui in verità dovremmo vergognarci, se pensiamo che soltanto il valore del comparto sanitario ed assistenziale -mandato allo sbaraglio senza mezzi adeguati nemmeno a proteggere i suoi interpreti, troppi dei quali hanno sacrificato sul campo la loro stessa vita- ha salvato dal disastro dell’emergenza acuta facendo leva sulle proprie risorse organizzative e di abnegazione, a fronte di una programmazione politica schizofrenica e malcerta.
E non ci si venga a dire, per giustificarsi, che si è fatto il massimo di fronte alla novità assoluta del fenomeno: le epidemie virali non sono eventi ultraterreni e Paesi ricchi ed evoluti non possono farsi prendere alla sprovvista, laddove esistono da lustri Enti appositamente destinati a studiare, prevenire e fronteggiare simili evenienze (in Italia opera il Coordinamento scientifico a cura del Centro nazionale per la prevenzione delle malattie e la promozione della salute presso l’Istituto superiore di Sanità, ma possiamo ricordare anche il Center for Disease Control statunitense ed omologhi apparati in tutti gli Stati occidentali).
Eppure, vuoi per la paura, vuoi per lo smarrimento, la nostra Gente si è sentita abbastanza protetta ed ha riconosciuto valore nell’operato governativo, sino a presentarsi, nella stragrande maggioranza, compatta nell’adesione ai precetti più drastici impostici e, persino, irosa verso coloro che criticavano certe scelte liberticide.
Curioso davvero, un Popolo tendenzialmente non amante della disciplina e che non ha una così spiccata propensione nel riconoscere l’autorità dello Stato, stavolta si è rivelato ordinato e capace di ubbidire, senza protestare; e proprio quando gli veniva limitata drasticamente la libertà di movimento, gli era impedito il lavoro, veniva invasa la riservatezza in molti modi, diveniva obbligata l’adesione a forme di comunicazione potenzialmente tutte vigilate dall’esterno e, persino, ostacolata la libertà di espressione.
L’analisi del fenomeno dovrebbe forse essere lasciata in larga parte alle neuroscienze cognitive che sanno comprendere i processi mentali ed il comportamento umano, in queste settimane apparsi davvero sorprendenti, specialmente per chi cerca sempre di osservare attentamente il nostro tessuto sociale e le sue manifestazioni; quelle stesse neuroscienze che ci propongono da qualche tempo un nuovo concetto di libero arbitrio, sempre meno libero e sempre più condizionato e determinato da fattori prescindenti dalla volontà del singolo.
Come giuristi, quest’ultima prospettiva da un lato ci affascina per gli spazi di difesa che può aprire, ma dall’altro ci sgomenta, potenzialmente essendo in grado di scardinare secoli di studi e di riflessioni sul tema della volontà e della coscienza dell’Uomo ed, in particolare, dell’Uomo deviante.
In ogni caso, si voglia accedere a quell’ipotesi di predisposizione condizionante o si voglia ancora immaginare che esista la libertà di determinazione in ognuno di noi, restano da analizzare e comprendere le ragioni di questo stato di cose che è sotto ai nostri occhi nel periodo che stiamo vivendo, per coglierne la criticità oggettiva che si può riassumere in questo pensiero: è possibile definire civiltà quella che, a fronte di una evidente inadeguatezza di un sistema che si muove a tentoni, è pronta comunque a seguirne ogni sorta di indicazione, anche le più invasive, dimenticandosi dei diritti inviolabili di ogni persona ?
Certamente, il primo diritto da difendere e di cui curarsi è la vita, ma si deve anche ricordare che, oltre all’aspetto schiettamente biologico, quel concetto racchiude imprescindibili componenti che valgono a recargli dignità e significato profondo.
Sforziamoci, in queste ulteriori settimane di stasi forzata che ci attendono, di riflettere su questi aspetti, ascoltando meno le parole diffuse dai canali di informazione di massa e confrontandoci piuttosto con noi stessi e con chi abbiamo in qualche modo vicino a noi, fisicamente o spiritualmente; pensando a come eravamo ieri e, soprattutto, a come vorremmo essere domani.
Da avvocati, massimamente ci è imposto di compiere questo sforzo, diversamente non comprenderemo più né chi sono davvero coloro che andremo a difendere d’ora innanzi, né da che cosa realmente dovremo difenderli.
Avv. Gabriele Bordoni
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