PANDEMIA (contenuto: pandemia, legalità)
La primavera del 2020 ha segnato il destino delle generazioni nate nel secondo dopoguerra, rappresentando per loro l’evento epocale che, almeno quelli della mia età, immaginavano oramai di avere avuto la buona sorte di non dover fronteggiare.
Per chi ha vissuto giovanissimo gli anni del terrorismo ed ha, in seguito, osservato tante vicende e stagioni certamente significative e rilevanti, sul piano politico, sociale, culturale e criminale -interno ed internazionale- era sin qui mancato il confronto con qualcosa di superiore e ubiquitario, arrivato rapidamente ed inesorabilmente, qualcosa che non rappresentava soltanto una ragione di riflessione e dibattito teorici e su fatti distanti, bensì qualcosa capace di cambiare o, forse, stravolgere, un intero sistema di rapporti, equilibri, convenzioni ed abitudini.
La prima reazione è stata la sorpresa, poi lo smarrimento che in breve ha lasciato spazio, almeno in molti, alla paura per la stessa sopravvivenza propria e delle persone care: in quel momento, si è ritrovato il senso della condivisione di destino, della solidarietà, della vicinanza e, persino, il senso dell’unità nazionale, valore dimenticato e persino vilipeso troppe volte, troppo a lungo e da troppe parti: il Tricolore esposto alle finestre ed i canti sui balconi, talvolta evocativi di spirito di Patria, talvolta più di affetto e di legame con il proprio territorio, sono stati i primi segnali positivi e fiducia.
Poi è sopraggiunta -in breve- la naturale fatica per la rinunzia alle nostre abitudini quotidiane, unita alla preoccupazione montante per le contingenze economiche immediate e per l’incertezza nello scenario davanti al quale ognuno si ripresenterà e si calerà, una volta superata la fase pandemica attiva e ripristinata una lenta normalizzazione sul piano sanitario, in attesa di vaccini e farmaci che ci preservino da possibili nuovi insulti virali globalizzati.
Nel frattempo, si sono dovute studiare forme nuove di repressione e controllo per i trasgressori ai precetti governativi, tesi ad evitare il dilagare del contagio, secondo gli schemi che ci hanno proposto e che abbiamo accettato, non avendo alcuna esperienza in relazione a quanto stava accadendo; l’adesione alle regole draconiane -che è stata ed è, ancora, dei più- viene richiesta nell’interesse superiore della salute collettiva che la legittima, ma è da tanti avvertito il timore che questi strumenti invasivi potrebbero rappresentare il nuovo modello di intervento del Potere.
Del resto, in questo frangente, lo Stato si è ripreso quel ruolo che nessuno gli riconosceva oramai da tempo, ossia di entità superiore, alla quale ogni consociato ha devoluto parte della propria libertà per vedersene garantite altre, oltre alla sicurezza ed ai servizi che noi occidentali, soprattutto noi europei, riteniamo essenziali: accettare ora la relegazione domestica, i droni che ci osservano nelle strade, il tracciamento telematico degli spostamenti quando non quello fisico ad opera delle Forze di Polizia è stata una riscoperta di quello Stato -nella sua accezione più visibilmente contenitiva e repressiva- che non si ricordava più in scala così platealmente visibile e generalizzata.
A quello Stato, paternalisticamente impositivo per il bene comune e, pertanto, tollerato almeno temporaneamente, già adesso tuttavia molti chiedono risposte ed aiuti rapidi, perché la necessità non ha gli stessi tempi delle procedure amministrative; nel contempo, è diffusa la consapevolezza che laddove quello Stato, dopo aver chiesto adesione, non sia altrettanto rapido a recare sostegno, altre organizzazioni cercheranno di occuparne l’assenza, facendo proseliti, raccogliendo consensi nella disperazione e divenendo “soci in affari”, con inusitata facilità, trovando maglie sempre più larghe e sfilacciate nel tessuto economico sano ed anche nelle stesse Professioni.
In questa gara sul tempo, l’Europa pare distante, dopo aver offerto alcune pagine della propria peggiore anima finanziaria, disumana e sprezzante; ma oramai ben pochi credevano ancora che questa fosse l’Europa dei Popoli e delle Culture e, quindi, non ci si deve sorprendere se la nomenclatura di matrice economica interpreta in maniera inadeguata, quando non becera ed ottusa, le emergenze degli uomini e delle donne europee, oltre che quelle dei diversi Paesi che formano l’Unione.
Paradossalmente, quella stessa Europa che -attraverso la Corte di Strasburgo- si è rivelata tante volte presidio dei diritti fondamentali dell’Uomo, richiamando al loro rispetto e ricordandoli non soltanto ai consociati, ma a tutti gli Stati del vecchio continente, ora appalesa il proprio smarrimento di fronte all’esigenza di cambiare logica di approccio, non potendo utilizzare unicamente la metrica della moneta e dei bilanci, ma dovendola unire alla sensibilità ed alla capacità strategica ed organizzativa che valorizzi il profilo umanistico.
Ed in questo momento di così grande scuotimento e di incertezza, la nostra Professione -rimasta spettatrice dell’Opera eroica del comparto sanitario ed assistenziale, capace di un contegno esemplare e che farà riflettere in futuro chi ragionerà, anche nelle aule giudiziarie, intorno a quel comparto della nostra società civile- deve rapidamente riscoprire i valori più profondi che sono alla base della sua essenza, quei valori di fedeltà alle leggi e di intransigente e coraggiosa difesa dei singoli che da sempre l’hanno resa usbergo imprescindibile della nostra millenaria civiltà.
Qualunque sarà il domani che ci attende, dovremo allora essere capaci di proteggere la legalità in ogni direzione, senza scorciatoie nè dissennati egoismi, così come di difendere -senza riserve né paure verso chicchessia- ogni persona che, massimamente in questo contesto così nuovo, pericoloso ed imprevisto, chiederà il nostro aiuto.
Sarà una sfida che dovremo raccogliere, con coscienza e coraggio, fedeli ai valori secolari della nostra tradizione, civile e giuridica, mettendo in campo le nostre capacità ed essendo sentinelle dei Diritti dell’Uomo, anche se ad attenderci dovesse essere una lunga notte, quella che non ci aspettavamo e che ancora speriamo di non dover vivere.
Avv. Gabriele Bordoni
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