GUERRA E DIRITTI (contenuto: guerra, diritto internazionale, vittime di guerra)
E’ inutile negarlo: per un penalista anche le atrocità della guerra, oltre a generare sgomento ed istintiva indignazione, generano riflessioni sullo stato dei diritti a fronte del loro subitaneo azzeramento per via del ricorso alle armi, anzichè al confronto, come mezzo di risoluzione delle controversie.
Da portatore di diritti inalienabili ed insuperabili, l’uomo che si trova all’interno del perimetro bellico diviene di colpo una semplice creatura alla mercè della violenza e della barbarie.
Per sovvenire a questo stato drammatico di cose, evidente e forse ineludibile, il diritto internazionale ha da tempo cercato di tutelare le vittime della guerra e di limitare le sue conseguenze disumane e così, a partire dalla seconda metà del secolo scorso, si è dato vita ad un corpus di norme di diritto consuetudinario che oggi costituisce parte integrante del diritto internazionale.
Si parla, in questo ambito, di diritto bellico in senso stretto, di diritto umanitario e di diritti umani. Mentre questi ultimi trovano la loro origine in epoche remote, il diritto umanitario è concetto risalente al secolo passato ed ha portato alla codificazione con le Conferenze dell’Aia ed alla costituzione in seguito del Tribunale speciale che siede in quella città.
Ma si tratta di interventi postumi, soltanto tendenti alla riparazione dei danni ove possibile ed alla punizione dei responsabili, a patto che abbiamo accettato quella giurisdizione.
L’applicazione dei diritti umani, previsti dagli strumenti di diritto internazionale, durante i conflitti armati rappresenta invece un tema assai complesso e forse irrisolvibile anche se la recente prassi internazionale ha consolidato l’opinione secondo la quale i diritti umani nei conflitti armati debbano essere rispettati a prescindere dalla natura del conflitto ed anche nella sua costanza.
I processi ai vinti, dagli esiti scontati, rappresentano oltre modo bene il cd. diritto penale del nemico; ma anche per questo non affascinano affatto chi è avvezzo a confrontarsi ad armi pari (almeno in linea astratta) e, comunque, davanti ad un Giudice terzo che non sia emanazione diretta del vincitore e sua espressione legale: dal processo di Norimberga a quelli contro Nicolae Ceaușescu e Saddam Hussein, solo par citare esempi noti e paradigmatici, non rappresentano fatti di giurisdizione per come la intendiamo ed anche il processo a Milošević (che contestava la giurisdizione di quel collegio e che non terminerà per sopravvenuta morte dell’imputato) lascia perplessi.
Quella che invece merita una riflessione è la materia del Diritto dei Diritti Umani, riconosciuti all’uomo per il solo fatto che appartiene al genere umano, garantendo che a lui vengano riconosciute libertà e diritti fondamentali indipendentemente dalle sue origini, appartenenze o luoghi ove questo si trovi.
La prima idea di tali Diritti, senz’altro già presente in epoche antiche, ottiene esplicita trattazione solo successivamente alla Seconda Guerra mondiale: evidentemente, furono gli orrori della guerra a mostrare la necessità di prevedere strumenti che fossero in grado di garantire i diritti umani inviolabili.
Nel 1948, nacque infatti la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo da parte delle Nazioni Unite; a questa si aggiunsero, nel 1966, il Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici e il Patto Internazionale sui Diritti economici, sociali e culturali entrati in vigore nel 1976; si aggiunga che, mentre la Dichiarazione Universale, seppur ebbe un grande impatto morale, non aveva valore giuridico vincolante, i due Patti Internazionali vennero concepiti perché gli Stati firmatari degli stessi fossero vincolati al rispetto del loro contenuto.
I due Patti ebbero il merito d’aver introdotto le prime due generazioni di Diritti fondamentali all’interno del panorama Internazionale: da un lato la prima generazione di diritti, ossia quelli civili e politici, i quali mirano a proteggere l’autonomia personale dall’ingerenza dello Stato ed a garantire la partecipazione degli individui alla vita ed alle decisioni politiche dello Stato stesso; dall’altro la seconda generazione, quella dei diritti economici, sociali e culturali, i quali prevedono non solo obblighi negativi di non ingerenza da parte dello Stato (come quelli di prima generazione) ma anche un intervento attivo da parte dello stesso Stato tramite legislazioni specifiche al fine di garantire il godimento di uguali diritti a tutti i cittadini.
Unico grande limite di dette Convenzioni, è che agli organismi giurisdizionali preposti alla tutela di queste, se presenti, possono ricorrere solo gli Stati in quanto tali e non anche direttamente i singoli cittadini, le singole persone portatrici di diritti fondamentali.
È per questa ultima circostanza che l’ultimo è più significativo stadio dell’evoluzione della tutela dei Diritti fondamentali è rappresentata dalla costituzione di corti internazionali con competenza a ricevere anche ricorsi individuali: in Europa, nel 1959 venne istituita la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che si occupa di garantire il rispetto e l’applicazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo del 1950.
Tra il Diritto Umanitario ed i Diritti Umani corrono allora evidenti differenze: il diritto internazionale dei conflitti armati tutela principalmente i civili ed i militari usciti dal conflitto, mentre i diritti umani si applicano potenzialmente a qualsiasi individuo, senza alcuna restrizione o eccezione; il territorio rilevante ai fini dell’applicabilità del diritto internazionale umanitario vige il principio dell’extraterritorialità, ossia lo stesso si applica ovunque vi sia un conflitto armato internazionale o internazionalizzato, mentre i Diritti Umani devono essere garantiti dallo Stato a tutti gli individui che si trovano all’interno del suo territorio o di qualsiasi altro territorio sul quale detto Stato esercita la sua giurisdizione; infine, il tempo del diritto umanitario è applicabile solo in tempi di guerra, mentre i Diritti Umani vanno garantiti tanto in tempo guerra che di pace.
Pur con queste differenze, il Diritto Umanitario ed il Diritto dei Diritti Umani hanno come scopo primario quello di tutelare i diritti fondamentali ed inderogabili dell’uomo; ma il problema dei diritti dell’uomo è strettamente connesso con quello della pace perchè “inter arma silent leges”, durante la guerra il diritto tace.
Ma come si può pensare che sia un gesto di forza bruta ad azzerare i diritti ?
Perché la guerra è sempre un gesto brutale, perché le ragioni che la muovono -reali o mistificatrici- sono in ogni caso unilateralmente presentate; eppure, di fatto è così.
A fronte della forza che porta morte e distruzione ogni presidio di legalità e di giustizia viene congelato ed il singolo resta senza nessuna difesa, nemmeno all’interno del proprio Paese sinchè un Paese esiste; e, come l’attualità ci mostra chiaramente, un aggressore normalmente rivendica le proprie legittime ragioni di esserlo, mentre l’aggredito parte sempre dalla parte del giusto, sino a quando non si scopre aggressore di ritorno e si autogiustifica.
Poi il diritto lo ripristinano i vincitori e…”vae victis!”, guai ai vinti.
E tutto quanto è stato calpestato frattanto, in danno di ogni singolo essere umano, quando troverà protezione e rispetto ?
Ammoniva Simone Weil: “Se non facciamo uno sforzo serio di analisi, rischiamo, in un giorno prossimo o lontano, di farci cogliere dalla guerra impotenti non solo ad agire, ma anche a giudicare”.
Mi permetto di aggiungere una nota amara: questa guerra ci ha colti distratti, prima che impotenti di agire e di giudicare e, soprattutto, ancora nel 2022, totalmente incapaci di proteggere l’uomo.
Avv. Gabriele Bordoni
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