IL LASCIAPASSARE (contenuto: Covid, diritto al lavoro, vaccino)
Anche se trattare ancora di Covid e problemi annessi comincia a divenire noioso, di fronte alla confusione montante nel Paese una riflessione, sintetica e molto semplice, mi sento di condividerla con chi avrà interesse a leggerla.
Nel 2020, il nostro Governo -quello formato in armonia con la Costituzione, nei modi ordinari, dopo tanti succedutisi la cui genesi era quanto meno atipica- avendo fronteggiato come poteva la fase acuta del problema, si è trovato progressivamente a dover gestire la sua stabilizzazione; un momento molto critico, ma che si sperava poter restare abbastanza circoscritto -qualche mese di privazioni per tutti e di morte per tanti- si è compreso ad un certo punto che era invece destinato a replicarsi e poi cronicizzarsi.
Così, dopo i primi entusiasmi, quel Governo ha dovuto fare i conti con un nemico che si doveva affrontare a tutto campo e che non ci pensava affatto di defilarsi con le buone e secondo natura, forse anche perché di naturale aveva ben poco (benchè gli esperti negassero con ogni perentorietà questa ipotesi, almeno per un anno dall’esordio del fenomeno).
E così, oramai non più creduto né seguito da quel Popolo che, sbigottito ed intimorito, gli aveva dato subitanea fiducia (i consensi erano giunti a vette inesplorate nella storia recente della nostra Democrazia), quel Governo -formato secondo le regole canoniche- si è dovuto fare da parte, sostituito da quello attuale, guidato da una persona che si è guadagnata d’esordio il ruolo di risolutore e che ha messo tutti all’interno del proprio recinto, così che nessuna voce potesse più levarsi in senso critico.
Ed il risolutore doveva adempiere alle regole transnazionali, quelle che lo hanno formato culturalmente e nella mentalità: dunque, era il vaccino che doveva debellare il Covid ed allora andava fatto, velocemente ed a tutti, in armonia quanto meno con gli altri Paesi europei.
Se la primissima ondata di adesioni a quella soluzione era stata stimolata essenzialmente dalla paura del virus, la seconda -via, via che l’età di accesso ai centri vaccinali scendeva- lo è stata molto anche dalla praticità, dall’esigenza insomma d’evitare limiti nei trasporti, nell’accesso ai luoghi di spettacolo culturale o sportivo, ai ristoranti e via dicendo.
Ma c’era ancora una quota discreta di renitenti da stanare: già, perché -fra le tante certezze cangianti che ci sono state propinate in questi diciotto mesi- anche il quorum adeguato a determinare quella famosa “immunità di gregge” di cui abbiamo imparato a conoscere il significato è stato progressivamente aumentato, giustificandolo i tecnici per via delle varianti del Covid 19 (che, trattandosi pur sempre di una mutazione di quello influenzale, era evenienza ovvia e da mettere in conto da subito).
Non bastava più nemmeno aver supero l’80% e si doveva approdare alla totalità, fatte salve soltanto le esenzioni (quelle basate su presupposti reali, intendo).
Sicchè, si è giunti alla coercizione indotta dalla necessità di lavorare, mettendo nelle condizioni tutti quelli che non possono fare altrimenti -ossia la stragrande maggioranza di chi ancora aveva evitato di vaccinarsi per scelta libera di autodeterminazione- di ricevere quell’antidoto preventivo, anche se non vale ad evitare di fungere da tramite di contagio, né a scongiurare di certo la malattia.
Il lavoro, bene costituzionale fondante della nostra Democrazia, recede dunque di fronte ad altro bene costituzionale, la salute che si trova ad esso anteposto sul piano della logica -un malato non lavora- ma non altrettanto sul piano del rilievo ordinamentale.
Infatti, poiché la contrapposizione tra diritti o interessi costituzionalmente rilevanti presuppone necessariamente che venga fra questi stilata una gradazione o una relazione di prevalenza, risulta fondamentale la definizione del «contenuto essenziale» o «minimo» del diritto da salvaguardare nell’ambito del bilanciamento, nell’ottica dell’imposizione del minor sacrificio possibile e della salvaguardia dei livelli essenziali delle prestazioni ex art. 117, c. 2, lett. m), Cost..
Ma la nozione di nucleo essenziale è piuttosto indefinita e si presta ad essere ampliata o ristretta con una certa discrezionalità in sede di bilanciamento.
Ed, allora, si consideri che la Consulta, con sentenza 9 aprile 2013, n. 85 (nel Collegio sedevano Marta Cartabia e Sergio Mattarella), chiamata ad esprimersi intorno al caso ILVA, affermò allora che «tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile, pertanto, individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri» perché, in caso contrario «si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona», precisando anche che l’aggettivo “fondamentale” contenuto nell’art. 32 Cost. non sarebbe affatto rivelatore di un carattere preminente del diritto alla salute rispetto a tutti i diritti della persona, fa cui il lavoro
Anche altre volte è stato ribadito il concetto della necessità di effettuare con cautela il bilanciamento tra valori costituzionali, persino facendo riferimento ad esigenze di bilancio («il diritto ai trattamenti sanitari necessari alla tutela della salute è garantito ad ogni persona come diritto costituzionalmente condizionato all’attuazione che il legislatore ne dà attraverso il bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti» – sent. n. 509/2000).
Dunque, il diritto al lavoro e quello alla salute sono due lati della stessa medaglia che devono coesistere in armonia, non essendo concesso farne prevalere l’uno sull’altro sbrigativamente; ma di questo principio ora non si tiene più conto, perché è stato superato dalla “indiscutibile priorità del bene collettivo”.
Ma il bene collettivo lo si vuole raggiungere somministrando un prodotto che è stato creato in emergenza, saltando tutti i protocolli sanitari convenzionali che impiegano anni per licenziare farmaci, anche se potenzialmente salvavita: in quei casi, la morte di chi li attende e da questi potrebbe essere guarito e mantenuto in vita non conta molto.
Un prodotto chiamato a fronteggiare un virus innaturale, ancora in parte misterioso e le cui varianti non si sanno né prevedere né contenere; quindi, ontologicamente pionieristico e senza una storia adeguata alle spalle.
Un composto che ha già portato lutti, disabilità, effetti collaterali; minimizzati e considerati un prezzo da pagare, ma forse perché l’hanno pagato altri.
Insomma, per imporre quel vaccino, per renderlo un obbligo di fatto, capace di privare una persona persino del lavoro, oltre che di tante libertà, ci doveva essere almeno esserci l’evidenza scientifica; ma è proprio questa che manca, avendo raccolto sin qui solo dati empirici, su limitata estensione cronologica, dunque insoddisfacenti se considerati in rapporto ai princìpi etici fondamentali ai quali devono conformarsi gli studi nell’ambito della sperimentazione clinica sui medicinali che traggono origine dalla Dichiarazione di Helsinki e dai requisiti previsti dagli standard internazionali di buona pratica clinica messi a punto per progettare, condurre, registrare e comunicare gli esiti degli studi clinici che coinvolgono l’uomo.
E non ce ne vogliano gli esperti che guardano con aria beffarda e seccata tutti coloro che sono scettici sul tema: ne hanno dette di tutti i colori, in disaccordo radicale fra loro e spesso anche con se stessi nel corso di questo anno e mezzo sicchè ritenerli ora credibili ed affidabili sino al punto di iniettarsi qualcosa di incognito non è razionale.
Ed, allora, si tratta di un gesto di fede, non sappiamo bene verso chi e cosa; ma come ogni gesto di fede, va rispettato ma non può essere imposto, nemmeno intervenendo trasversalmente come si è fatto ora creando il “lasciapassare” della discriminazione.
Le piazze a volte insorgono, qualcuno le sobilla cavalcando l’onda mentre altri le commentano, con i soliti stantii riferimenti a concetti del secolo scorso, intervenendo dai salotti televisivi, anche sguaiatamente, con arrogante tracotanza: demagogia, ideologia, pressapochismo e ben modesta volontà di confrontarsi lealmente, con equilibrio, consapevolezza e sincero rispetto delle altrui opinioni. Per capire di più.
Se ancora immaginiamo una civiltà che possa avanzare nelle proprie conquiste, allora forse un antidoto ci vorrebbe soprattutto per evitare tutto questo che è la sola deprimente costante della quale non si scorge una reversione.
Avv. Gabriele Bordoni
STUDIO LEGALE BORDONI – Tutti i diritti riservati
come sempre il Sua è una penna lucida, inflessibile e coerente. si apprezza il contenuto fedelissimo alla Costituzione, ma anche ai principi “non scritti” universali e condivisibili dai pro e dai contrari. equilibrato ma anche battagliero. complimenti Avvocato !
Esprimo quello che avverto essere l’imprescindibile sentimento di un cittadino intimamente libero, quanto rispettoso delle regole, purchè siano davvero corrette
Avv. Gabriele Bordoni