LUCIDITA’ (contenuto: riforma della Giustizia, DDL Zan, omotransfobia)
Da un po’ di mesi, essendo ripreso il ritmo ordinario della professione, posso dedicare meno tempo alle riflessioni.
Tuttavia, stasera credo che sia giusto dedicare una mezz’ora ad un paio di riflessioni a margine delle due proposte di riforma che maggiormente agitano il dibattito parlamentare: la riforma della Giustizia penale ed il DDL Zan.
Quanto alla prima, pare essere più avanzata nel proprio iter e prossima ad approdare, mettendo in campo una serie di interventi di natura sostanziale, processuale e rivolti alla fase esecutiva che, con un certo pragmatismo, provano ad introdurre qualche meccanismo nuovo che allenti il carico di lavoro degli uffici e garantisca una giustizia meno astratta ed evanescente per via della dilatazione dei tempi.
Ad esempio, in primo luogo, si tende a favorire la composizione delle controversie ed a responsabilizzare maggiormente i cittadini, coinvolgendoli nel meccanismo del processo e questa potrebbe essere una scelta corretta; ma starà a vedersi, da un lato, quanto questa innovazione inciderà sull’atteggiamento di chi non potrà più limitarsi a denunciare ma dovrà sporgere querela per ottenere la punizione di reati sino ad ora procedibili e, dall’altro, quante risorse si destineranno al funzionamento dell’apparato riparativo. Insomma, mentalità e denari saranno gli elementi che determineranno il successo di questa parte della riforma
Vengono, inoltre, rivitalizzati istituti premiali, giungendo a vere svendite delle condanne di fronte alla disponibilità del soggetto di accedere a riti alternativi, in primo grado o concordando in appello; va bene, potrà migliorarsi un po’ il carico, ma l’equilibrio pare scricchiolare sul piano dell’equità sanzionatoria e forse sarebbe stato meglio allargare le maglie, non soltanto temporali, ma anche concettuali, di ammissione dell’abbreviato condizionato a prove selettive, rito ancora oggi visibilmente osteggiato ed, invece, maneggevole per un difensore capace di comprendere quali sono i nodi di una vicenda sui quali concentrasi.
Ancora, nella fase esecutiva, finalmente, si inizia a comprendere come la certezza della pena dovrebbe unirsi a quella di un suo effetto rieducativo; diversamente, si finisce soltanto per spostare di un po’ i problemi nel tempo, senza nemmeno tentare di risolverli almeno in parte. Ed, allora, il ricorso anticipato e più esteso a pene alternative mi sembra una buona idea, ma a patto che si accompagni ad un potenziamento di quegli uffici che devono assistere ed aiutare i condannati nel reinserimento sociale, con meno burocrazia ed, invece, molta maggiore contiguità con il mondo del lavoro.
Infine, c’è il solito nodo spinoso della prescrizione che torna, sostanzialmente, al recente passato, rieditando le sospensioni limitate fra il primo grado ed i seguenti; ma qui sale alto il grido di ammonimento della magistratura che denunzia il “rischio di imbastire riforme non solo inefficaci quanto dannose e inaccettabili sul piano della tenuta costituzionale del sistema” vaticinando che, per effetto dell’innovazione in fieri, si determinerà un incentivo per le impugnazioni, con ulteriore aggravio per gli uffici in sofferenza ed inevitabile incremento dei tempi di definizione, facendo leva sul rischio che l’estinzione del reato renderebbe incomprensibile agli occhi della comunità il sistema di giustizia penale; anche molti avvocati esprimono scetticismo al riguardo e li capisco, avendo rilevato talmente tante riforme da dover cambiare codici più di una volta all’anno, senza mai rilevarne risultati concreti. Ma sulla prescrizione ritengo che si debba esprimere una certa soddisfazione nel vedere cancellata quella riforma assurda che aveva abolito la prescrizione nell’ingenua speranza di accelerare i processi: come se non porre termini alla perseguibilità dei reati potesse mai valere a sveltire i termini del loro accertamento, quando piuttosto quella abolizione consegnava molti cittadini al processo senza fine.
La battaglia politica è accesa e va acuendosi a suon di minacce di stabilità dello stesso governo: dopo un paio di stagioni pandemiche (e con una terza che ancora nessuno si sente di poter scongiurare) anche soltanto pensare di aprire crisi di governo, quali che ne siano i rappresentanti, privando della guida un Paese in un momento di questa delicatezza sembra una opzione delirante.
Ma non c’è da sorprendersi circa questo atteggiamento: almeno qui si parla di giustizia penale, quella che tutela le vittime e deve dare garanzie agli imputati, ossia questioni serie e spesso capaci di cambiare una vita intera. In questo momento va affrontata anche questa riforma con lucidità e pragmatismo e con rispetto del buon senso, ma almeno il tema è di ordine e valenza generali e molto rilevanti.
Lo stesso clima estremizzato, infatti, si vive in relazione all’altra riforma di cui si parla tanto in queste settimane, il provvedimento contro l’omotransfobia; tematica rovente di discussione che interseca legalità, garanzie, tradizione, credo religioso e che merita certamente attenzione, ma della quale non si avverte il carattere così cogente. Possibile che proprio in questo frangente ci si debba agitare tanto per una questione di tale limitata portata, assolutamente ideologica e che, nei numeri, incide sul Paese reale in maniera che non può essere se non marginale ?
Se scontrarsi -anziché convergere costruttivamente- sul tema della giustizia penale è forse anch’essa una scelta non del tutto appropriata nel contesto dell’attualità che vede il mondo affrontare una ripresa certamente difficile e dai presupposti economico sociali ancora assai incerti, farlo su un argomento oggettivamente periferico rispetto alle urgenze di un Paese, sino a paventare crisi di governo, mi pare a dir poco opzione scellerata.
E’ davvero difficile restare seri assumendo che vi sia proprio adesso così tanta urgenza di estendere la punizione della propaganda e dell’istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa anche rispetto a quelle legate al genere -inteso come manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso- all’orientamento sessuale -ossia all’attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso, o di entrambi i sessi- ed alla identità di genere -ossia all’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dal l’aver concluso un percorso di transizione- (queste espressioni sono tratte dal progetto di legge).
Se la macchina Paese non si rimette in moto in fretta e bene, il benessere collettivo andrà scadendo e si innalzeranno tensioni sociali generalizzate e probabili scontri di classe che saranno ben più accesi e pericolosi rispetto a quelli che vorrebbe contrastare questa norma, prescindendo dall’esserne ognuno di noi affascinato, inorridito o, semplicemente, convinto piuttosto che perplesso.
E’ questione -oltre che di credibilità e di affidabilità- di lucidità: ma questa è dote che, all’evidenza, è sempre più carente nella nostra classe politica, senza distinzione dell’area in cui si pone all’interno dell’intero arco costituzionale.
Avv. Gabriele Bordoni
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