UNA NUOVA, IRRIVERSIBILE, STAGIONE DA RISTRETTI? (contenuto: covid, salute, lavoro)
Siamo alla vigilia di un nuovo confinamento domestico; credo che sia evidente per una serie di fattori convergenti, interni ed internazionali.
Pareva impossibile, ma ci siamo fatti sorprendere per la seconda volta dalla nuova ondata del virus, quasi che nessuno se la aspettasse; e così accade in tutto il mondo…. il che oggettivamente è desolante, dimostrando la sostanziale fragilità del sistema globale e l’inadeguatezza della scienza di settore (in fondo, si tratta pur sempre di una sindrome influenzale, più grave negli effetti ma analoga per tutto il resto).
E’ ancora tutta da scrivere, evidentemente, la storia delle responsabilità (politiche anzitutto, ma anche scientifiche e giudiziarie) per le conseguenze sin qui prodotte -come per quelle che si stanno producendo ancora e progressivamente nel nostro Paese, ma anche in Europa e nel mondo- dalla pandemia da Covid-19 in termini di perdita di vite umane e di costi economici e sociali; ma adesso non è ancora tempo di conteggi e di processi, in senso stretto o sul piano storico, essendo di nuovo ancora in mezzo al problema.
Un problema che, ancora oggi, non sappiamo nemmeno dimensionare, nella tensione -di matrice vieppiù politica ed ideologica- fra coloro che lo enfatizzano e quelli che, invece, tendono a marginalizzarne la complessiva effettiva portata.
Fatto sta che, dopo otto mesi da quando si è presa coscienza della pandemia mancano ancora, oltre al vaccino ed a cure oggettivamente mirate e salvifiche, indicazioni univoche e sulla sua natura esatta, sulla sua origine, sui sistemi veramente efficaci per combatterla e si prosegue con la strategia utilizzata nella primavera scorsa anche se non sappiamo quanta efficacia possa avere andando incontro alla stagione più delicata dell’anno e non a quella più favorevole al contrasto; ed uno sguardo a quanto è avvenuto nell’emisfero sud a stagioni capovolte non aiuta a capire, stanti le enormi differenze fra i due ambienti che non ne suggeriscono un confronto.
Ed allora si ripropone a tappe lo stesso schema di chiusura progressiva del Paese e la gente comincia davvero a temere la crisi irreversibile e tanto impone qualche considerazione sul piano del diritto, in particolare sul confronto fra i diritti.
La salute trova tutela nell’art. 32 Cost. mentre il lavoro nell’art. 4 e si tratta di diritti entrambi basilari che vanno perciò tutelati insieme; l’integrazione reciproca e la tutela sistemica che a tutti i diritti dovrà essere assicurata non potrà comportare alcun conflitto né tanto meno potrà lasciarlo irrisolto ma nemmeno prevenirlo assegnano una gerarchia improbabile nei fatti (si può morire di Covid, ma anche di inedia).
Inoltre, la limitazione delle libertà fondamentali e l’interruzione delle attività non possono mai essere accettate a cuor leggero in un ordinamento liberal democratico e vanno rispettati i parametri giuridici per far sì che il potere dello Stato sia stato esercitato nel pieno rispetto della Costituzione repubblicana che quelle libertà ed i diritti fondamentali, come la salute ma anche il lavoro, si preoccupa di tutelare.
Ed ecco la necessità di bilanciare i principi e diritti costituzionali versandosi in una situazione in cui due o più diritti pare che non possano essere soddisfatti contemporaneamente.
Quella del bilanciamento è una metafora, ed estremamente evocativa: tanto per cominciare la bilancia è uno dei più antichi simboli della giustizia, in quanto rimanda ad una attività che è non solo “equilibrata”, ma anche precisa e oggettiva; è ovvio che nel diritto le cose non sono semplici perché ciò che deve essere pesato ed equilibrato giuridicamente non ha in realtà alcun peso o proprietà oggettiva e misurabile e spesso è controversa anche la stessa individuazione di ciò che deve essere soppesato.
A rendere il compito ancor più complicato è l’attività di gestione normativa della pandemia nella prospettiva del diritto dell’emergenza ma con l’impegno a garantire il rispetto di entrambi quei diritti fondamentali: e così si ripropone in questi giorni il tema del rapporto tra salute ed economia del lavoro che implica anche quello di rispetto della vita e di tutela dell’eguaglianza effettiva fra le persone.
Sull’art. 32 Cost. la Corte costituzionale ha insegnato, in molte sentenze, che deve essere ritenuto come diritto primario ossia che viene prima (Corte cost., n. 365/1983); un diritto che “comporta un dovere di astensione” anche di altre attività lecite e comportamenti pur solo rischiosi (Corte cost., n. 399/1996); alla stregua di un diritto incomprimibile (Corte cost., n. 309/1999), che non può subire condizionamenti neanche per mancanza di risorse finanziarie.
Tuttavia, va anche ricordata la sentenza costituzionale n. 85 del 2013 sul caso Ilva, in cui il conflitto tra lavoro e salute era posto in maniera più diretta; in quell’occasione, la Corte cost. ha fatto mostra di realismo politico ed, utilizzando un lessico diverso, ha affermato che “non esiste tirannia dei diritti” ossia che nella Costituzione non c’è una gerarchia di valori e neppure la salute è in testa ad altri diritti perchè la Costituzione richiede un continuo e vicendevole bilanciamento che, senza portare al sacrificio di alcun interesse “nel suo nucleo essenziale”, è affidato al legislatore e ciò, attraverso la ricerca del punto di equilibrio (per sua natura mutevole e dinamico) e secondo criteri di ragionevolezza.
Dunque, al giorno d’oggi non è più esatto affermare che il lavoro sia subordinato alla salute; tra i due valori si è sviluppato infatti un rapporto osmotico: dove vi è lavoro deve esservi salute da intendersi non soltanto come mancanza di malattia, ma come benessere dell’individuo, in un’accezione ampia che include la dimensione psichica e sociale.
Ma, parimenti e per converso, per esservi salute si deve garantire il lavoro quale fonte di lecito approvvigionamento dei mezzi di sussistenza per i singoli e di necessaria ricchezza collettiva; diversamente, negli stenti e nella restrizione, dimorano solo disordine sociale e devastazione, violenza, depressione, malessere ed ineguaglianza.
Poi non dobbiamo dimenticare nemmeno l’insegnamento, la cultura, la fede e la ricreazione, fisica e dell’anima; ma forse, in quanto tali, questi sono beni che vengono appena un passo dopo ed ai quali penseremo appena risolto il primo problema di far coesistere la tutela della salute con la conservazione dell’attività di lavoro per tutti.
E l’ora in cui si devono necessariamente trovare le risorse per garantire sopravvivenza alle persone ed alle aziende, ma soprattutto in cui va assolutamente raggiunto un equilibrio nei rapporti fra quei diritti basilari ed interconnessi che consenta al Paese di rimanere indipendente e di trovare al più presto una propria dimensione di convivenza con il virus.
Non ci si è arrivati in otto mesi ? Amen, ci si arrivi nei prossimi due, perché immaginare di arrivare ristretti ai domiciliari e privati del lavoro, oltre che della vita quotidiana, sino a maggio (ipotesi che, per come si stanno tenendo le istituzioni non pare in concreto così remota) vorrebbe significare la fine di quell’Italia che, pur se malconcia e da riassettare, riconoscevamo come la nostra Patria sino a gennaio 2019.
E non aspettiamoci che sia l’Europa spietata ed antiumana delle banche a donarci la salvezza: dobbiamo riuscirci da soli a venirne fuori da questo momento e dobbiamo farlo con il buon senso ed attraverso il rispetto equilibrato dei diritti fondamentali.
Avv. Gabriele Bordoni
STUDIO LEGALE BORDONI – Tutti i diritti riservati
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