POLIZIA E SOCIETA’ (contenuto: polizia, società)
Mi è capitato più volte di assistere rappresentanti delle Forte dell’Ordine, in relazione a vicende fra le più disparate; non perché avessi una particolare vicinanza a quegli ambienti od una preconcetta solidarietà verso di loro, ma perché da sempre mi sono sentito libero nel prestare la mia opera di difensore verso chiunque ne avesse necessità, senza operare alcun distinguo.
Così ho difeso le persone più diverse fra loro, rapportandomi con loro senza che sul mio atteggiamento pesassero quelle che potevano essere le mie personali opinioni: l’uomo ha le proprie idee, ma l’avvocato deve pensare all’assistito in quanto tale e se non ricorrono ragioni serie al punto di impedire di assumere il mandato, superato quel vaglio preliminare, l’approccio deve essere lo stesso verso tutti.
Sintonia od inconciliabilità di vedute le ho rilevate, del resto, confrontandomi con assistiti di ogni provenienza, estrazione, ambiente, professione, fede o cultura e questo mi ha sempre confortato rispetto alla mia istintiva propensione a pensare che ogni uomo chiamato a difendersi da un’accusa deve essere valutato per la condotta che gli viene contestata ed in base alle prove, senza condizionamenti di sorta, adesivi o contrappositivi che fossero, alla figura che quel singolo poteva incarnare.
In questi giorni ho pensato ai processi nei quali ho difeso appartenenti alle Forze di Polizia osservando quanto sta accadendo oltre Oceano in queste settimane che hanno seguito l’uccisione di un cittadino afroamericano a Minneapolis: una società ancora sconquassata dal Covid 19 e da quanto quel virus porterà dietro di sé, ulteriormente lacerata e disgregata di fronte alla condotta sconsiderata ed inqualificabile di due agenti, capaci di usare modi talmente brutali da provocare la morte della persona sulla quale stavano intervenendo, peraltro per una ipotesi di violazione marginale e non violenta. Una condotta che andrà chiarita e giudicata, da un Giudice.
La coesione sociale che dovrebbe indurre la comune reazione ad una pandemia è stata così spazzata via in un giorno, mettendo di fronte neri e bianchi e delegittimando la polizia intera di quella città, tanto da indurne lo smantellamento, a quanto pare: da un estremo all’altro, come sempre, senza nessuna prospettiva.
Anche in Italia non sono mancati episodi oscuri che hanno destato polemiche ed indignazione, episodi assai diversi fra loro, ma tutti proposti all’opinione pubblica come emblematici di un atteggiamento della nostra Forza Pubblica spesso inadeguato.
Un paio di queste vicende le ho vissute dall’interno e, senza citarle, mi è venuto da pensare a quanto girò loro attorno a livello mediatico e se il messaggio diffuso allora verso l’opinione pubblica sia stato corretto e soprattutto utile per la crescita della nostra società e per la sua maturazione rispetto a certi temi di così radicale importanza.
In coscienza, al quesito devo rispondere negativamente e lo posso fare perché fui sempre pronto -anche a costo di risultare ben poco simpatico all’Ufficio di appartenenza dei mie difesi e persino ad altri difensori- a censurare quelli che erano gli aspetti critici dell’operato degli indagati, proprio per quella linearità ed indipendenza di cui rivendicavo la titolarità e che, sola, poteva farmi sentire sereno nel ministero di difensore, oltre che più consapevole delle insidie che presentava l’accusa.
Diversamente, quanto vedevo diffondere a chi quei fatti non conosceva, oscillava spesso fra una preconcetta adesione all’operato della Polizia, quali che ne fossero stati i modi ed una altrettanto ideologica critica veemente alle condotte oggetto di censura; così lo stesso contegno -che nemmeno si era ancora ricostruito per com’era stato davvero- veniva giustificato con ottusa benevolenza o demonizzato con irosa ferocia.
Ho sempre pensato, invece, che questi sentimenti siano giustificabili soltanto per chi vive questi drammi, da una parte o dall’altra, perché sono questioni di sangue e di lacrime, di autentico dolore e di paura, di afflizione senza fine nel tempo; ma tutti coloro che sono di fatto esterni a quelle vicende, Istituzioni incluse, tutti quelli per i quali quelle polemiche, anche le più accese, sono destinate prima o poi a sbiadire e, quindi, svanire nel ricordo lontano, devono imparare ad avere uno sguardo più obbiettivo al riguardo e chi li informa deve essere capace di fare altrettanto.
Ideologia, preconcetto, ipocrisia, strumentalizzazione impoveriscono la società ed inquinano i processi, sicchè le condanne non si saprà mai se sono frutto di una ponderata valutazione dei fatti mentre le assoluzioni il portato di una benevolenza di casta, finendo così per lasciare l’osservatore più sguarnito di quanto non fosse all’esordio e sempre più arroccato sulle proprie posizioni ideologiche, acuendo lo scontro e la contrapposizione su un tema, peraltro, come quello legato al controllo pubblico del territorio, di centrale rilevanza comunque la si voglia pensare, politicamente e culturalmente.
E’ davvero tempo di maturare, riprendendo a ragionare in maniera schietta e semplice, criticamente e dialetticamente, ma su basi concrete e di verità: le proteste, le vendette, le esasperazioni di piazza non ci faranno migliorare, nessuno di noi ed i protagonisti di queste storie, con le loro autentiche sofferenze, torneranno a sentirsi soli, consapevoli che il loro dolore imperituro non sarà stato utile a migliorare alcunchè.
Se vogliamo davvero che le polizie delle società di matura democrazia tendano sempre meno a porsi come istituzioni funzionali al potere politico e sempre più come espressioni della sicurezza che lo Stato deve garantire ai cittadini, allora dovranno essere guidate da regole e orientamenti nuovi, non soltanto in materia di politiche di sicurezza, ma anche di tecniche e pratiche di polizia e di modelli professionali e culturali; e questo sarà possibile soltanto in un contesto di confronto e di coesione.
Facciamolo tutti uno sforzo in quella direzione, nel rispetto dei protagonisti di queste storie ed anche di chi deve giudicarle, in piena libertà e senza pesi esterni; per credere ancora che esista un modo per migliorarci, come singoli e come società.
Avv. Gabriele Bordoni
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