SACRALITA’ DEL PROCESSO, CENTRALITA’ DELL’UOMO ED UDIENZA A DISTANZA: COESISTENZA POSSIBILE ? (contenuto: processo, distanza)
La contingenza sanitaria ha imposto il più ampio ricorso ai sistemi di comunicazione telematici un po’ dappertutto; se già negli stili comportamentali di molti si era adusi sostituire molti incontri personali con dialoghi a distanza, in questo periodo di forzata lontananza fisica, era certamente scelta pragmatica e logica quella di far procedere quanto possibile ed urgente in altra modalità.
Nel campo del processo penale, per farlo, si sono richiamate norme regolatrici di questa ipotesi esistenti da tempo, vieppiù amplificate con la riforma Orlando, recentemente entrata in vigore ed attuata; norme e regole che, in questo frangente, sono state elasticizzate ed adeguate ad una più vasta casistica di impiego, nella forzata e -per certi aspetti- doverosa adesione di tutti.
Sull’onda di questa esperienza, c’è però chi già prospetta e si fa paladino di una possibile stabilizzazione di queste prassi emergenziali, nel nome della snellezza e della praticità, oltre che del risparmio di tempi e risorse, insomma facendo leva sul concetto di efficientismo a costi ridotti.
Tuttavia, ancora una volta, ci si dimentica dei principi e della storia giudiziaria: i primi, legati al concetto di sacralità di un rito -almeno quello penale- che interviene limitando la libertà dell’Uomo ed invadendone la vita intera e che, pertanto, si è arricchito e costruito attraverso la meticolosa salvaguardia di diritti e garanzie che devono essere reali e non di facciata, oltre che gelosamente conservati.
Mentre la seconda ci insegna come l’aspetto umano, nella sua fisicità, giochi comunque ed imprescindibilmente un ruolo nel processo -il cui centro resta la Persona- impossibile da riprodurre attraverso l’asetticità di un video, anche se di ottima qualità.
La psicologia giuridica, la scuola oratoria e l’esperienza forense ci consegnano elementi preziosi a suffragio di questa conclusione: la pantomimica dei protagonisti del processo, gli sguardi, la sonorità di una voce nella sua immediata e diretta percezione vibrante e tanto altro, sono tutti aspetti non replicabili attraverso lo schermo.
Insomma, il processo non è un film ma tensione emotiva e pulsione di vita reale che necessitano di essere vissute dal vero.
Poi c’è la simbologia, legata centralmente alla toga, ma anche alla posizione spaziale delle parti e del Giudice all’interno dell’aula; c’è la presenza del pubblico, normalmente rappresentativo di quel popolo nel nome del quale verrà emanata la sentenza, espressione del luogo stesso in cui il processo è celebrato (tanto che, con le sue esasperazioni potrebbe anche indurre la legittima suspicione).
Tutti elementi metagiuridici ma certamente di matrice umanistica e tradizionale che non possono essere dimenticati, perché sono fondamentali sino a che l’Uomo sarà fatto di carne e di passione.
Se una cerimonia religiosa e persino un evento sportivo perdono del loro pathos nel caso in cui siano vissuti a distanza, analogamente ogni udienza -e particolarmente quelle di assunzione delle prove- perde la propria essenza se celebrata in quelle forme, ciò a scapito dell’imputato, protagonista principale del processo che non può e non deve essere marginalizzato, nemmeno nella sua fisicità, venendo costretto ad assistere al compimento del proprio destino giudiziario restando confinato nelle stanzette del carcere destinate alla partecipazione in videoconferenza, perdendo così la possibilità di incidere su ogni momento del giudizio, laddove la tempestività di un intervento, concordato con una rapida intesa con il difensore, può consentire una domanda decisiva capace di mettere in crisi un testimone, la stessa PG operante, un Consulente, facendo sorgere dubbi sulla loro credibilità.
Tutto diventa impossibile se si è separati da un video, in aula con l’assistito lontano o vicino a quest’ultimo, nel troppo remoto e lontano ambiente penitenziale.
Senza considerare la segretezza dello scambio di informazioni con l’assistito, ragione per la quale di norma l’imputato siede prossimo al proprio difensore; non si tratta di un bisbigliare occulto e dal contenuto scarsamente etico, si tratta del diritto di difendersi con pienezza, da presunto non colpevole che non può subire limitazioni almeno nel momento in cui conferisce con il suo “consorte” processuale e che, giustamente, reclama per sé un atteggiamento dell’Ordinamento che sia rispettoso nelle forme non meno che nella sostanza.
La stessa concentrazione dei protagonisti, talvolta pericolosamente pronta a scemare anche nella compresenza fisica di tutti, diverrebbe un obbiettivo sempre più difficile da raggiungere nella diaspora telematica.
E’ vero che le Sezioni Unite, con la sentenza n. 41736/10, disciplinando il tema affine legato all’immutabilità del Giudice, hanno stabilito che quel principio -previsto dall’art. 525, comma 2, prima parte, cod. proc. pen. ed in forza del quale il giudice che provvede alla deliberazione della sentenza deve essere lo stesso davanti al quale la prova è assunta, oltre che quello che ha disposto l’ammissione della prova- impone che i provvedimenti sull’ammissione della prova emessi dal giudice diversamente composto devono intendersi confermati, se non espressamente modificati o revocati ed, altresì, che l’avvenuto mutamento della composizione del giudice attribuisce alle parti il diritto di chiedere prove nuove e la rinnovazione di quelle assunte dal giudice diversamente composto, ma a condizione che indichino specificamente le ragioni che impongano tale rinnovazione.
In tal maniera, il Diritto vivente ha rivoluzionato l’istituto, privando del carattere automatico quella rinnovazione (talvolta effettivamente strumentalizzata), ma il principio di fondo lo hanno senza dubbio conservato.
Allora, se ha un senso preciso che sia lo stesso Giudice che regola ed assume le prove quello che decide il processo, vuol dire che si riconosce un valore all’umanesimo dell’udienza (che non può essere sostituito dai verbali stenotipici) oltre che alla personalità e sensibilità del singolo Giudice che non può trovarsi ad essere condizionato dalle scelte del proprio collega che lo ha preceduto nella funzione.
Personalità e sensibilità che vanno preservate da limitazioni anche rispetto alle parti del processo, principalmente quella centrale del protagonista che lo subisce.
Recentemente, ho raccolto le impressioni di docenti, discepoli e famiglie intorno alla didattica a distanza, rilevandone perplessità profonde, critiche e comprensibile diffidenza; non mi sono parsi affatto atteggiamenti ottusi o frutto di anticaglie mentali, ma piuttosto le espressioni di chi conosce quel tema, vivendolo sul campo e potendolo comparare con le esperienze del nuovo sistema tecnologicamente avanzato che ora si vorrebbe ergere a modello. Atteggiamento simile raccolgo nel Foro.
Del resto, l’ossequio a quelle ricordate logiche di economia processuale, anche quando vengono declinate nel senso di garanzia della celerità e della ragionevole durata dei processi, non può indurre a considerarle prevalenti rispetto al diritto della parte a difendersi, anche personalmente oltre che a mezzo del difensore, partecipando direttamente ovvero anche fisicamente al processo che lo vede imputato; rimanendo centrale il diritto di presenziare, oltre che partecipare e offrirsi alla valutazione dei giudici anche nella propria persona, con la possibilità di calarsi nella realtà processuale in tutte le sue dimensioni fisiche, psichiche ed emotive che nella partecipazione a distanza risultano troppo fortemente condizionate.
L’Europa pare sensibile al tema avendo emanato la Direttiva UE 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio tendente al rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, in particolare laddove -all’articolo 20- prevede il diritto per la parte imputata di presenziare al proprio processo, diritto che deve essere garantito dallo Stato, disposizione inequivocabilmente dettata come principio fondamentale del sistema, con la finalità di costituire un diritto proprio della parte imputata, introducendo una pretesa connessa direttamente al diritto di difesa ed alla presunzione di innocenza.
E dalle indicazioni sopranazionali è difficile affrancarsi, anche perché direttamente applicabili laddove, come nel caso di specie, si pongano armoniosamente rispetto al dettato Costituzionale (art. 111).
Dunque, l’emergenza comporta sacrifici, ma quei sacrifici, frettolosamente indotti ed attraverso la legislazione d’urgenza, non divengano regola; e questo atteggiamento non è ideologico, ma culturale e coerente rispetto a quanto conosco per averlo vissuto in prima persona da trent’anni, oltre che per voce di Chi mi ha preceduto e mi ha insegnato quella Professione che ha tracciato la mia intera vita.
Avv. Gabriele Bordoni
© 2020 STUDIO LEGALE BORDONI – Tutti i diritti riservati
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!